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Vino rosè: i falsi miti da sfatare

Prima di frequentare il corso da sommelier ero una di quelle persone convinte che il vino rosé fosse un qualche tipo di errore o, comunque, una sottospecie di vinello a metà tra il rosso e il bianco, di poco conto e di valore scadente.

Quanta, ignoranza. Quanta.

In realtà il rosé è un vino a tutti gli effetti e, come tale, degno del rispetto che questo merita.
Se anche voi, attualmente, avete le stesse convinzioni sul vino rosé che avevo io qualche anno fa, è arrivato il momento di illuminarvi e mostrarvi la retta via.

Primo mito da sfatare: i “rosa” non sono tutti uguali.
Ne esistono di diverse sfumature (proprio come nel mondo moda).
Di conseguenza, quando si degusta un vino rosato, il colore che si può vedere nel bicchiere varia dal cosiddetto “chiaretto” e “cerasuolo” (i quali non indicano solo una sfumatura, ma anche una tipologia), poi “buccia di cipolla” e “petalo di rosa”.
Se vi capita di imbattervi in un degustatore francese, invece, le sfumature possono diventare ancora più numerose e complesse, soprattutto se avete un occhio poco allenato. Si può passare da “buccia di cipolla”, “mattone”, “lampone”, “carne”, “pesca”, “melone”, “albicocca”, “mandarino”, “mango”, “legno di rosa”, “salmone”, “marmo rosa”, “corallo”.
Il colore è dato dalla provenienza geografica e, come spesso accade, i toni più pallidi di rosa sono tipici delle regioni settentrionali italiane, mentre più ci sposta verso sud, più il colore diventa intenso. Importante, per la determinazione della tonalità finale, anche il tempo di permanenza del mosto sulle bucce, la temperatura e il tipo di uva.
Insomma, per noi sommelier forse la cosa più difficile da individuare durante una degustazione di rosé, potrebbe essere proprio l’identificazione del colore preciso.

Secondo mito da sfatare: non solo aperitivo, ma anche tutto pasto.
Ebbene sì, trovate un buon rosé e godetevelo per tutto il pranzo o la cena.
Dipende dal vino, ma generalmente i rosé si sposano bene con il pesce (di mare e di lago), ma anche con alcune carni non troppo condite oppure con “cibi alternativi” come pizza o piadine, al posto della solita birra.

Terzo mito da sfatare: invecchiamento no.
Invecchiamento sì, invece. Alcuni vini rosé si possono prestare a un “riposo” in cantina piuttosto che essere bevuti nell’immediato. Unica nota dolente, dopo qualche tempo i vini rosé tendono a perdere alcuni profumi primari, così come il colore tende a diventare più tenue rispetto a quello iniziale.

Quarto mito da sfatare: ha la sua temperatura di servizio.
Non è un rosso, per cui scordatevi di lasciarlo fuori dal frigorifero prima di berlo. Come temperatura di servizio si avvicina molto a un bianco, per cui, una volta scelto il vostro vino rosé preferito informatevi anche sulla temperatura ottimale per essere bevuto.

Quinto mito da sfatare: hai detto, Champagne?
Lo sapevate? Esistono dei meravigliosi Champagne rosé. Serve aggiungere altro?

Per finire, come sempre, vi suggerisco quella che è la mia preferenza.
Ho molto gradito il Rosa dei Masi (Rosato delle Venezie), cantina Masi Agricola.
Oltre ad essere fresco, lo trovo molto elegante e gradevole sia per un aperitivo sia per una cena leggera.

Vi ho convinto a provare un rosé? Spero proprio di sì.
Samantha

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