Mi chiamo Ariana, sono nata in Romania ma vivo in Italia. Ho fatto una vacanza quest’estate ed è stata indimenticabile.
Tutto ebbe inizio in agosto, se sei rumeno e vivi all’estero fai parte di quella che chiamano la diaspora e, credetemi, l’etimologia botanica spiega benissimo il significato di questa parola: la dispersione dei semi nudi dalla pianta madre. Mi ci rivedo in quei semi, sparsi dal vento, altrove, in un’altra terra.
La Romania è una terra ricca di storia e siti archeologici, di boschi ancora incontaminati, di gente umile, rispettosa e ospitale e ,cosa ancora più importante, la Romania è ricca di leggende, e le leggende accomunano tutti i semi sparsi dal vento in mille terre, riportandoli alla pianta madre.
Questa è la storia di un viaggio e del richiamo di una leggenda, quella di Zamorxis.

IL VIAGGIO
Il mese di agosto per i diasporani è un momento molto atteso: niente vacanze rilassanti ai Caraibi, qualche giorno d’ aria fresca a Cortina o vida loca a Ibiza. Toglietevi dalla testa ogni idea di vacanza standard perchè qui parliamo di veri e propri avventurieri: gente ammassata in macchine minuscole, stracolme di valigie, rifornimenti per un anno di pasta, cani, gatti e chi ne ha più ne metta. Persone disposte ad affrontare quasi 2000 km di guida non stop, di bagni degli autolavaggi puzzolenti, di prosciutti fermati alle dogane, insomma… veri temerari! Ora, queste persone vi possono sembrare pazze e fuori di testa, gente che preferisce fare lo stesso viaggio infernale quasi ogni anno invece di vedere altre parti del mondo, ma prima di giudicare chiedetevi questo: se foste voi ad avere tutti i vostri famigliari, la vostra casa, i vostri luoghi d’infanzia a quelle distanze? Quanto ve ne fregherebbe dei Caraibi?
Immaginiamo questa folla con il suo spirito agguerrito e proseguiamo: destinazione comune a tutti è la Dacia, ex provincia romana che, dopo la conquista di Traiano, delimitava quella linea astratta di confine fra mondo romanizzato e mondo barbarico: astratta perchè di fatto il vero confine naturale era delimitato dal Danubio e anche perchè la storia ci insegna che le zone di limite rappresentano la culla di scambi, confronti e relazioni fra esseri umani, non solo di battaglie e guerre.
Mentre il resto della diaspora si sparpagliava per il paese, io e la mia famiglia eravamo diretti al confine del confine, nel pieno del mondo barbarico, terra mai conquistata da Traiano: la Moldova.

Affrontare un viaggio in Moldova in macchina può rivelarsi una scelta tanto rischiosa quanto adatta: rischiosa perchè le strade sono piene di insiedie quali carrozze trainate da cavalli, buche più o meno grandi e bambini che giocano al ciglio della strada, ma altrettanto adatta perchè i profumi, i suoni e i paesaggi che si alternano descrivono perfettamente il legame che questa terra conserva con i suoi avi.
Per me la Moldova significa casa. Sono cresciuta con i nonni che avevano l’orto e da quello che producevano ne traevano i piatti tipici: bors, sarmale, tocanita… L’infanzia l’ho trascorsa giocando sulle strade, andando ‘la scaldat’ ovvero a farsi il bagno al fiume facendo i gavettoni a chi pescava, rimanendo nascosta fra i campi di mais mentre mio fratello faceva la conta a nascondino, aiutando i nonni durante la vendemmia. Il legame che sento con la mia terra d’origine non posso descriverlo a parole ma cercherò, attraverso immagini dettagliate, di trasmettervi questo sentimento e chissà, forse anche la voglia di visitarla.
Cose da fare: mangiare un kurtos dai venditori ambulanti, sporgersi dal finestrino per vedere i nidi delle cicogne sui pali della luce, raccogliere frutti di bosco nelle poiane.
Viaggio. Capitolo 1
L’ascesa
Comicio questo racconto dai luoghi della mia infanzia perchè l’idea del roadtrip è nata qui: ero al telefono con l’amoroso e stavamo scegliendo la destinazione del nostro viaggio estivo e, per una serie di sfortunati eventi, non avevamo tante alternative; così, intrepido e anche un po’ preoccupato per via delle voci che circolano sulle terre dell’est ( oggi considerate da molti ancora barbariche, come se vivessimo nel tardoantico) prese un aereo e si ritrovò in due ore di tempo a Otopeni, famossissimo e affollatissimo aeroporto della capitale, Bucarest.
Trova una versione magra e pallida della sua ragazza ad aspettarlo al terminal, n.b sono una romanticona!

Vi mentirei se vi dicessi che è partito tutto in maniera organizzata con cartine e punti prefissati da visitare: la verità è che dopo una serata passata a goderci la vita notturna di Bucarest e il giorno dopo a visitarla, ci siamo ritrovati ad affittare una Dacia Logan in un concessionario lowcost.
Consiglio: può sembrarvi una macchina inadatta per intraprendere un viaggio prevalentemente su strada e potreste destare dal nolleggio visti i dettagli da Playmobil, ma vi assicuro che vi sorprenderà per le sue prestazioni sia su strada che fuoristrada.
Prima di partire per il nostro viaggio a quattro ruote abbiamo cenato con delle costine da paura nel centro di Bucarest, a Caru cu Bere per la precisione,dove vi consigliamo caldamente di ordinare il tris. Il mattino seguente, per soddisfare la dose di cultura di qualsiasi viaggio organizzato alla buona che si rispetti, abbiamo visitato il museo delle scienze naturali Antipa con la sua spelindida serra, nella quale si potevano ammirare da vicino farfalle provenienti da tutto il mondo.
Successivamente ci siamo ritrovati a passeggiare fra le prime forme di insediazioni romene al museo Satului, ritovandoci poi sotto ad un temporale alle porte di Palatul Parlamentului che ospita nel suo retro il museo di arte contemporanea romena.
Tutto questo girovagare in due soli giorni ci aveva fatto venire sete, quindi approfittando della bellissima terrazza all’ultimo piano del museo, abbiamo brindato con una timisoreana. Se chiudo gli occhi sento ancora il sollievo del venticello che si era inalzato e che si disperdeva su di una Bucarest arida di fine agosto, davanti a noi una chiesa ortodossa in costruzione e un paesaggio insolito per un’entrata museale: una specie di cantiere in corso accompagnava il visitatore alle porte d’accesso, travi e assi di legno lasciate qua e là durante il periodo di punta delle visite. Mi piace pensare che il fatto che fossimo gli unici due visitatori dipendesse dalla breve tempesta scattata qualche minuto prima, ma indagando sulla situazione attuale del museo e ammirando con occhio critico l’allestimento e le opere, questo pensiero si affievolisce sempre di più. La verità è che il museo ha tantissimo potenziale e forse metterlo nelle mani di giovani intraprendenti potrebbe dargli quella scossa di contemporaneità di cui necessita.
Il giorno dopo, a bordo della mitica Dacia, ci ritroviamo sulla strada verso Brasov, fermandoci a pranzare in un’antica bread bowls house: piatto di pane con ripieno di stufato, una delizia!

Brasov di sera ci sembrò magica: nella via sotto alla camera prenotata tramite Airbnb si vedevano valigie appese ai muri e luci tremolanti di locali nei quali potevi ascoltare musica dal vivo. Dopo una passeggiata costeggiando la Chiesa Nera e la stradina lungo le antiche mura sotto le torri, entriamo in un locale arredato con pagine di poesie che svolazzavano e scaffali colmi di libri. Un giovane pianista che suonava dal vivo e qualche bicchiere di troppo di visinata e palinca creavano un’atmosfera da romanzo.
P.s: le stradine inquietanti lungo le antiche mura sembrano uscite dal film Frankestein Junior.
Passata la seconda ciucca del nostro viaggio, ci dirigiamo verso una bellissima riserva naturale che ospitava più di 80 orsi cresciuti in cattività negli zoo, circhi e gabbie di tutto il mondo. Qui, nel Libearty Bear Sanctuary di Zarnesti, trovano riposo e cure dopo una vita di maltrattamenti. Ci emozionò molto la storia di una giovane mamma orsa e i suoi 3 cuccioli: lei era cresciuta rinchiusa in una gabbia piccolissima per compiacere al bisogno di ostentare un orso in giardino di qualche folle, i suoi cuccioli invece sarebbero cresciuti senza conoscere la cattiveria umana. Ngli occhi di quella mamma orsa potevo leggere la felicità che derivava da questa consapevolezza.
Casa
La nostra prossima tappa prevedeva casa mia: Bicaz.
Per arrivare alle porte naturali della Moldova occorre percorrere stradine di montagna che nascondono monasteri pittoreschi e case d’argilla con tetti di paglia. Cheile Bicazului si inalzano possenti come ad abbracciare in una stretta di roccia i viaggiatori. Qui il clima si fa più mite e le numerose bancarelle di legno formano un tripudio di colori che si contrappongono alle sfumature di grigio delle pareti di pietra.
Un tempo quelle strade non erano accessibili e costituivano una difesa naturale dai nemici per le popolazioni locali. Oggi rappresentano una via d’accesso unica nel suo genere che sfocia nel Lago Rosso.
Mettemmo alla prova la Logan sullo sterrato passando lungo il lago Bicaz e arrivando a Ceahlau. Era buio e da bravi viaggiatori organizzati non avevamo prenotato una camera, trovarne una non fu più difficile che trovare del cibo in un paesino minuscolo di montagna alle dieci di sera. Finimmo per cenare bussando alla porta di un bed and breakfast e cordialmente una signora ci diede un piatto povero e del buon vino di casa.
Il giorno dopo eravamo pronti per la grande avventura: scalare il Ceahlau.
La leggenda di Dochia
Da piccola ci andavo spesso con i miei nonni e mi ricordo i sentieri e le leggende che nonno mi raccontava prima di andare a dormire: in particolare la leggenda di Dochia, la figlia del re Decebal( quello della colonna di Traiano) e della sua fuga dai centurioni di Traiano, aiutata dal dio dacico Zamolxes.
Dochia, principessa bellissima dai capelli dorati armata di arco e freccia, scappava come un cerbiatto inseguito da un branco di lupi. Quando ormai i soldati romani la raggiunsero in cima al monte Ceahlau lei alzò gli occhi al cielo e si rivolse a Zamolxes: ‘preferisco rimanere per sempre ancorata alle mie terre che fatta schiava dei romani! La leggenda narra che il dio ascoltò le preghiere della principessa e mandò nebbia, vento e fulmini improvvisi che colpirono i centurioni, ma la ragazza sparì e al suo posto i sopravvissuti videro la sagoma verticale di una roccia scolpita dai fulmini. Ancora oggi gli abitanti del posto chiamano con il nome di Dochia la roccia secolare e anche noi, passandoci vicino sentimmo il richiamo di quel sentimento primordiale di appartenenza alla terra d’origine.
Probabilmente la sfida più impegnativa che abbiamo affrontato fu la scala d’acciaio che porta su alla cima Toaca: dopo una moltitudine di gradini pendenti ci si ritrova a quota 1904 metri e si ha una visuale completa della zona immersa nel verde e nell’azzurro del lago.
Arrivammo al al rifugio Dochia al tramonto. La nostra cena fu caratterizzata da piatti tipici di montagna quali: polenta e mici, pollo in salsa di panna e spezie. Dalla terrazza si sentivano le campane che risuonavano nell’unico monastero di legno presente a quell’altezza e fecero da coro al fascio di luce infuocata che colorava le sagome in lontananza.
Dopo una notte passata in una camerata con 25 letti e almeno metà ospiti con il setto nasale deviato per quanto russavano, ci siamo svegliati prestissimo per ammirare l’alba.
Lasciandoci alle spalle Ceahlau e l’intera zona di Bicaz abbiamo percorso un’ultima strada sterrata che tagliava in due i boschi da Durau verso la prossima destinazione: la Transilvania.
Transilvania
Prima tappa nella terra di Dracula: Sighisoara.
Sighisoara appare in tutte le guide turistiche ed è difficile trovare un locale privo di turisti. Nonostante i numerosi alberghi lussuosi, abbiamo preferito soggiornare presso un pulitissimo bed and breakfast situato a due passi dal centro storico. Una volta percorse a piedi quasi tutte le stradine vicino alla Torre antica, abbiamo pranzato a Casa Kraus, deliziandoci con un filetto in salsa di frutti di bosco e una zuppa tipica alle erbe. Consigliato!
Evitate i posti turistici, perché potrebbe capitarvi di pagare cifre spropositate per piatti arrangiati alla buona e per niente tipici.
Lasciata alle spalle la città dei corvi, sulla strada verso Sibiu, ci siamo fermati in uno dei villaggi più caratteristici della Transilvania, Biertan.
L’ora era inusuale per dei turisti. Non siamo riusciti ad entrare nella fortezza medievale ma l’abbiamo solamente visitata da fuori. A Biertan si percepisce la vita della comunità rurale ancorata alle sue tradizioni e la bellezza di un borgo storico ben conservato e tutelato. Rappresenta l’esempio perfetto di simbiosi fra turismo e popolazione locale, grazie al sapiente restauro del patrimonio storico artistico, migliorando non solo la vita degli abitanti dal punto di vista economico, ma anche politico e sociale: saper sfruttare i luoghi di arte e storia significa dare la possibilità a molte persone da diverse parti del mondo di godere della bellezza e della cultura nostrana, ma significa anche relazionarsi con le novità e le diversità che tali persone portano inevitabilmente con sé, arricchendo le nostre conoscenze.

Consapevoli di questo, la voglia di fare pazzie in nome del Gran Tour dacico che stavamo intraprendendo si fece più grande: così decidemmo di andare a visitare Castelul Corvinilor, percorrendo più di 200 km. Questa fortezza del 15esimo secolo rappresenta uno dei gioielli della storia architettonica gotica: un tempo castrum e corte di Matia Corvin, ora ospita eventi come Stradivarius music night a fine agosto e il Festival Renascentist nei primi giorni di ottobre. Nonostante gli eventi citati e l’affluenza di persone incuriosite dal castello e dai sue numerose attrattive, sono fiera di leggere nei quotidiani romeni che di recente è stato firmato un contratto per il restauro del castello e dei suoi interni per un valore di 5 milioni di euro, progetto finanziato con i fondi europei per i beni culturali e ottenuto grazie al duro lavoro del Comune di Hunedoara.
Sono notizie che possono sembrare irrilevanti ,ma che significano molto per una comunità che sta iniziando da pochi anni a investire nel cultural heritage e che intravede i primi risultati.
Arriviamo a Sibiu in tarda nottata e al mattino ci svegliamo con i cellulari che squillano all’impazzata per l’allarme orso! A quanto pare, proprio in quei mesi il governo romeno stava sperimentando Ro-Alert, un sistema di diffusione di messaggi di tipo Cell Broadcast per situazioni di pericolo quali terremoti, attacchi terroristici e anche animali selvatici vaganti. (Tenete a mente questo dettaglio perché ci sarà utile per comprendere meglio la situazione nella quale ci siamo ritrovati il giorno successivo).
Il pomeriggio lo passammo a fare trattative nel caratteristico mercato all’aria aperta della piazza centrale di Sibiu, colmo di vasellame in ceramica lavorata e dipinta a mano. Inutile dire che si possono fare grandi affari perché i prezzi sono molto economici e la qualità dei vasi è ottima, ne abbiamo presi 5!
Ogni roadtour romeno che si rispetti deve prevedere obbligatoriamente una qualche destinazione al di là del Trasfagarasean. Per i pochi che non la conoscono si tratta di una delle strade più belle del mondo, citata nella classifica di Top Gear, costruita per la follia del dittatore Ceausescu con le fatiche dei carcerati politici. È lunga 152 chilometri ed è il collegamento più rapido fra le regioni di Muntenia e Trasilvania.
La strada è aperta per soli 4 mesi all’anno per via del clima e della fauna che ospitano le montagne adiacenti: si tratta delle zone più alte e selvagge della Romania nonché habitat naturale dell’orso bruno carpatico.
Fu proprio percorrendo la discesa di uno dei tanti tornanti che ci imbattemmo in due bellissimi esemplari di orso bruno, ci fermammo subito. Rimanemmo in macchina con i finestrini leggermente abbassati a un metro esatto dai due cuccioloni: quasi non si accorsero della nostra presenza, o meglio, ci stavano ignorando deliberatamente perché troppo impegnati a grattarsi e frugare fra i resti di un sacchetto della spazzatura. Il mio pensiero andò subito ai loro simili del Santuario di Zarnesti: erano al sicuro in un paradiso costruito dagli uomini contro le cattiverie degli stessi uomini, eppure sarebbero rimasti comunque in una condizione di cattività. Loro, invece, la libertà se la gustavano eccome, correndo però tutti i rischi che ne comporta, primo fra essi il fatto di poter essere investiti dalle centinaia di macchine che ogni giorno sfrecciano per la mitica strada. Nei loro occhi non vedevo lo sguardo sereno e pacifico degli orsi di Zarnesti, ma più una scintilla che racchiudeva il senso della loro vita: una sfida continua in nome della libertà contro un mondo ormai troppo modernizzato che ripara ai suoi errori con altre forme di reclusione invece di smetterla di togliere spazio alla natura e alla vita selvaggia che la compone.
Ci guardavano così e noi li osservavamo altrettanto incantati. Quell’attimo mi sembrò potesse durare in eterno, se non fosse stato per le macchine che si fermarono subito dopo di noi, attratte dagli orsi e piene di persone che inconsciamente spaventarono con petardi i nostri due amici.
Mi sembrò ingiusto allontanarli così: era casa loro! Ma capì subito il rischio che correvano loro e anche noi avendoli avvistati così vicini alla strada. Feci quello che ogni amante degli animali dovrebbe fare: chiamai la guardia forestiera per dare l’allarme tramite Ro-Alert. Non volevo leggere sui quotidiani del mattino l’ennesimo articolo di incidente mortale causato da orso non segnalato, e sapevo che i miei due amici sarebbero tornati nel punto dove avevano trovato cibo. Aspettammo la guardia forestiera, anzi fummo noi ad indirizzarla nel luogo esatto. Mi misi a letto speranzosa ma anche preoccupata per il loro destino, il mattino dopo non lessi notizie di quel genere e ancora adesso mi piace pensarli lì, nei loro boschi, a dettare la loro legge e far adeguare l’uomo alla loro natura selvaggia e non viceversa.
Il mio amoroso sentì il bisogno irrefrenabile di motori e montagna, così ci ritrovammo a Leresti ad affittare un quad e passare una giornata indimenticabile persi nel bel mezzo del niente, in cima a montagne selvagge e pranzando con taglieri di formaggio, pomodori e carne!
Arrivati a questo punto vi verrebbe da presupporre che il nostro viaggio sia vicino al termine ma, inaspettatamente, travolti dalla solita pazzia che ci caratterizza, decidemmo di non lasciare le terre dacché senza vedere il Delta del Danubio. Così, ci ritrovammo a metà pomeriggio a cercare disperatamente un traghetto da……., introvabile e ripiegammo dunque su una barchetta e un giro privato per la laguna più famosa d’Europa!
Qui le immagini raccontano la ricchezza della flora e della fauna meglio di quanto possa fare io!

L’indomani ci siamo risvegliati a Mamaia, dove trovammo fortunatamente una stanza all’ultimo momento, dirigendoci poi verso Vama Veche per trascorrere tutto il pomeriggio in riva al mare. Vama Veche si trova sul Mar Nero, confine esatto con la Bulgaria ed è una famosa per lo stile liberista, vagamente hippye e per i festival di musica. Non abbiamo saputo resistere al richiamo dei balli di gruppo sulla spiaggia e abbiamo fatto anche un bellissimo incontro con un appassionato di astronomia che metteva a disposizione gratuitamente il suo telescopio per poter osservare gli astri! Link Facebook del gruppo di astronomia
Non mi piace parlare dei ritorni ,ma in questo caso il nostro fu una corsa contro il tempo: Flixbus prenotato nel pomeriggio e solo qualche ora per arrivare al concessionario e lasciare la nostra amata compagna di viaggio Dacia Logan, con 2300 km in più!
Next stop? Budapest, ma questa è tutta un’altra storia!