Sei al supermercato, di fronte allo scaffale del cioccolato. Stai cercando una barretta di fondente, quella che acquisti di solito, ma un’altra barretta sullo scaffale attrae la tua attenzione. Sulla confezione c’è disegnata una fogliolina verde e una scritta dichiara “cacao di origine sostenibile”. Ti senti un supereroe quando afferri quella barretta e vai verso la cassa. Ma attenzione: potresti essere vittima di greenwashing.
Non preoccuparti, non sei il primo e nemmeno l’ultimo. Secondo recenti ricerche, il greenwashing è un fenomeno in crescita. Si tratta di una strategia di comunicazione che tende a sostenere e valorizzare un presunto impegno ambientale ed ecologico di un’impresa. Lo spiega bene l’etimologia della parola, che ricorda molto da vicino il termine whitewashing che indica l’attività di nascondere fatti spiacevoli. È l’unione di green – ormai per estensione va a indicare questioni ecologiste – e washing, letteralmente “pulire”. E si sa, in un contesto in cui sono sempre di più le persone che fanno acquisti consapevoli, il mondo delle industrie lava i propri panni sporchi con una nuova prospettiva, quella della sostenibilità.
Cos’è il greenwashing
Il termine è nato negli anni ’90, durante una fiera a Washington. Alcune tra le più inquinanti imprese americane hanno cercato di spacciarsi come eco-friendly… naturalmente senza esserlo. Oggi, con la crescente domanda di prodotti che rispettino il pianeta, e l’aumento delle norme a tutela dell’ambiente, cresce anche il numero di aziende e brand che sfruttano a loro vantaggio la sostenibilità. E cresce l’interesse a trarre maggior profitto dichiarando presunti comportamenti sostenibili per attirare l’attenzione di quella fascia di consumatori attenti a queste tematiche.
Sono strategie di greenwashing tutti i tentativi di aziende o brand di mostrarsi pubblicamente più attenti e sensibili alle tematiche sostenibili, e attivamente impegnati in questioni ambientali. Ma in realtà non lo sono – o lo sono in piccolissima parte.
A questo punto avrai facilmente capito come la comunicazione istituzionale e di prodotto delle aziende che fanno greenwashing è di fatto una pubblicità ingannevole. Utilizza infatti espliciti richiami alla sostenibilità ma non c’è nessun riscontro reale nel loro modo di operare.
Le strategie comunicative
Le pratiche usate sono spesso molto semplici. Questo perchè molti dei termini che indicano un qualche tipo di vantaggio sociale o ambientale sono generalmente vaghi. Alcune aziende sfruttano consapevolmente questo aspetto a proprio vantaggio. Altri brand a volte possono usare un linguaggio che causa incomprensione o confusione, e fuorviare gli acquirenti
Queste strategie comunicative sono state evidenziate in uno studio che ha rilevato come il 95% dei prodotti valutati utilizzava almeno una qualche forma di greenwashing. Per esempio, alcuni prodotti semplicemente utilizzano elementi grafici (l’uso del colore verde, disegni di elementi naturali) o testuali (il suffisso eco-) per dare l’impressione di essere di fronte a un prodotto sostenibile.
In altri casi vengono utilizzate strategie più elaborate:
- il hidden trade-off, o “compromesso nascosto”, quando una azienda suggerisce che il suo prodotto – o il processo per produrlo – sia sostenibile sulla base di poche caratteristiche green. Così facendo, sposta l’attenzione da altri prodotti o processi che invece hanno implicazioni ambientali;
- l’onere della prova: le affermazioni dell’azienda/del brand che riguardano la presunta sostenibilità non riescono ad essere smentite. Spesso mancano le informazioni necessarie, e resta a noi consumatori la responsabilità di scegliere se fidarsi o meno;
- affermazioni vaghe: alcune parole usate per descrivere la sostenibilità sono così ampie o così mal definite che il loro vero significato rischia di essere frainteso o interpretato male. E le pubblicità ingannevoli sfruttano in pieno questa indeterminatezza.
Come evitare il greenwashing
Dobbiamo diventare sospettosi, quando andiamo a fare la spesa? No, o meglio: è sufficiente che diventiamo consumatori critici e consapevoli. E che iniziamo a porci le domande giuste prima di acquistare un prodotto.
Uno strumento molto importante nelle nostre mani è la ricerca di informazioni. Su internet, innanzitutto, ma anche direttamente alla fonte – chiamando il servizio clienti di una azienda, recandoti direttamente dal produttore. E se noti qualcosa che non ti convince, controlla due volte. Se le informazioni che raccogli sono davvero vaghe e non specifiche, si tratta di greenwashing.
Per esempio, pensa alla frase “fatto con ingredienti sani e genuini” che si ritrova spesso su molte confezioni. È un’affermazione troppo generica e che spesso – dopo aver letto la lista ingredienti – non trova risconto. Ma permette al prodotto su cui è scritta di entrare nell’immaginario collettivo come “prodotto sano”. E fare leva sulla necessità di essere confortato nelle scelte alimentari per sé e per la propria famiglia.
Perciò, fai attenzione alle parole utilizzate in un annuncio pubblicitario. Cosa vogliono dire esattamente? Ci sono informazioni sostanziali o al contrario approssimative? Le fonti per le affermazioni dell’azienda o sul prodotto sono dimostrabili?
E controlla bene anche la grafica: cosa rappresenta? È sui toni del verde? Credi che possa farti sentire come se il prodotto fosse naturale quando potrebbe essere tutt’altro?

Il ruolo di imprese e consumatori
Detto tutto questo, ti lascio con una riflessione finale sul greenwashing. Perchè nessun prodotto è realmente green al 100%. Il problema su cui il nostro sistema economico dovrebbe confrontarsi ed evolversi è quello di una eticità diffusa. Le imprese devono essere affidabili e i consumatori devono continuare ad informarsi. Ma la comunicazione dovrebbe rappresentare solo la forma esterna di una volontà di inversione di tendenza dell’intero mercato, la rivoluzione dei consumi verso una responsabilità collettiva.
Non si tratta di essere perfetti, ma leali. Anche e soprattutto dal punto di vista delle aziende impegnate nel cambiamento, che dovrebbero dichiarare gli sforzi ma anche i limiti con cui questo avviene. E resta a noi consumatori attenti e informati – al di là di ogni tentativo di greenwashing – la responsabilità di mantenere un atteggiamento critico, cauto e consapevole e di riconoscere le buone intenzioni – spesso più vere di una ostentata perfezione più difficile da credere.